Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle (di Sirna Nisida)
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Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle (di Sirna Nisida)

« May the road rise to meet you, may the wind be always at your back, may the sun shine warm upon your face, and the rains fall soft upon your fields and, until we meet again, may God hold you in the palm of His hand. »

« Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle, che il sole splenda caldo sul tuo viso, e la pioggia cada dolce nei campi attorno e, finché non ci incontreremo di nuovo, Iddio ti protegga nel palmo della sua mano »

Una benedizione che sembra essere una poesia accompagna i viaggiatori irlandesi dal quinto secolo fino ad oggi. Questo meraviglioso augurio, di data e autore incerti, viene generalmente attribuito a un tale conosciuto sia qui che a nord-est della Manica e in tutto il resto del mondo. Si chiamò Maewyin Succat, nacque in una cittadina marittima dell’Inghilterra del nord e fu rapito dai pirati irlandesi all’età di sedici anni. Tornato a casa, probabilmente un po’ scosso, scelse di prendere i voti e, afflitto forse da una leggera sindrome di Stoccolma, di predicare il cattolicesimo nel paese in cui, per sei anni, era stato tenuto in schiavitù. Al suo ritorno, si dice, tutti i serpenti fuggirono in preda al panico.

Mi è impossibile, nel mese di Marzo, evitare dei riferimenti a San Patrizio d’Irlanda. Il diciassette del mese mettetevi un bel capello verde, appuntatevi uno shamrock sulla giacca e andate in giro cantando “It’s a Great Day for the Irish”, oppure, per l’occasione, posso consigliarvi di ascoltare la più impegnata e tradizionale“The Wearing of the Green”, nella versione degli Orthodox Celts.La giornata di San Patrizio è una celebrazione diffusa non solo in Irlanda ma in numerosi paesi in tutto mondo, particolarmente sentita in America, in cui la città di Boston tinge di verde le acque del fiume Chicago in occasione della ricorrenza, ed in Australia.Il perché questa festività sia così diffusa, tuttavia, è argomento poco conosciuto che colgo l’opportunità di trattare: è il fenomeno della “diaspora irlandese”.

Fin dal Seicento, sotto lo scettro della Regina Elisabetta d’Inghilterra, l’Irlanda è stata sottoposta al controllo militare degli inglesi. Le espropriazioni di terreni, il disprezzo verso la lingua nazionale, il gaelico irlandese, le leggi discriminatorie verso i cattolici sono soprusi che da soli sembrerebbero sufficienti a far nascere il desiderio di imbarcarsi verso lidi più liberali. Ma la storia irlandese non è solo caratterizzata dal dominio di un paese sovrano. E', purtroppo e tristemente, costellata dalla presenza di numerose carestie che a cavallo tra Settecento e Ottocento colpirono l’economia e gli abitanti d’Irlanda.La più dura e terribile fra le carestie fu sicuramente quella avvenuta nel 1845, nota come “Great Famine”, durante la quale una spora rese immangiabili tre raccolti consecutivi di patate. La reazione del governo britannico a fronte dell’emergenza fu a dir poco inconsistente, soprattutto a causa della politica economica del paese, all’epoca largamente influenzata dall’ideologia del laissez-faire. Privata della sua principale fonte di nutrimento per i sette anni successivi, fino al 1852, più del 20% della popolazione morì letteralmente di fame. Ancora una volta è la musica a farsi veicolo della storia: “Fields of Athenry”, una ballata popolare, racconta di come un uomo di nome Michael sia stato imprigionato e deportato in Australia per aver rubato del cibo da dare alla sua famiglia.

E' da questa disgrazia che si originarono le emigrazioni di massa verso l’America, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda che prendono appunto il nome di diaspora. Una benedizione per i viaggiatori come quella di San Patrizio sarebbe stata davvero un augurio necessario per gli emigranti irlandesi: stipati a centinaia nelle cosiddette “coffin ships” che attraversavano l’Atlantico, con cibo ed acqua a malapena sufficienti per la traversata, i viaggiatori potevano solo pregare di avere in mare una sorte migliore di quella che li avrebbe attesi in patria. “The Emigrant's Farewell”, cantanta da Cara Dillon, “Thousands Are Sailing” dei Pogues, “Farewell my Love”, che vi consiglio nell’arrangiamento dei Boys of the Lough, sono solo alcuni dei numerosissimi lamenti scritti per i viaggi degli emigranti che, salpando dalle coste del loro amato paese, lasciavano con rimpianto un passato di tradizioni sperando in un futuro migliore.

Sirna Nisida

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